Palmas Flamencas con José del Calli

Primer plano artístico de las manos de un palmero ejecutando palmas flamencas.

Molto è stato scritto sul compás. Ma una cosa è la teoria, un’altra molto diversa è sentirlo nascere tra le mani di un maestro. L’arte del palmeo è il linguaggio più antico di questa tribù, il battito che unisce tutto. Queste palmas flamencas non sono semplici applausi; sono l’anima ritmica del flamenco.

Per parlare di quest’arte, ci siamo seduti al Tablao 1911 con José del Calli. Abbiamo messo da parte il suo lato di eccellente cantaor per concentrarci su quest’altra arte che padroneggia come pochi: quella di essere un palmero eccezionale.

José del Calli, Maestro delle Palmas Flamencas al Tablao Flamenco 1911

L’intenzione dietro il palmeo

La teoria dice che il compás è l’architettura del flamenco. Ma la tecnica senza intenzione è un corpo senza anima. Parliamo dell’intenzione dietro ogni colpo.

José, quando inizi a segnare le prime palmas della serata, cosa cerchi per prima cosa? Stai pensando alla metrica o stai già raccontando una storia con il tuo palmeo prima ancora di aprire bocca?

«La prima cosa che cerco, come in tutta l’arte, è iniziare con delicatezza e crescere, non dare tutto subito.»

Il suo obiettivo iniziale non è l’ornamento, ma l’ancoraggio. Cerca ciò che nel gergo flamenco è chiamato “il peso”.

«Cerco quel peso, come diciamo noi flamencos, per segnare i passaggi del compás, per tenerci tutti uniti.»

Le sue palmas, in quel momento iniziale, non vogliono emergere, ma diventare la base ritmica. La loro funzione è creare un terreno solido e condiviso. «Che le mie palmas servano in quel momento come base, come fosse un cajón, semplicemente, e poi cercare quel peso sul primo colpo affinché il palo che stiamo suonando si radichi in quel momento.»

Retrato en blanco y negro del cantaor flamenco José del Calli.

La Tavolozza Sonora del Palmero: I Tipi di Palmas

L’arte delle palmas flamencas è, prima di tutto, un’arte di sfumature. Non si tratta solo di segnare il ritmo, ma di dipingerlo con colori e texture diverse. In questa tavolozza sonora, spiccano due tecniche fondamentali.

Da un lato troviamo le palmas sordas. Si ottengono incurvando le mani per creare un suono grave, morbido e ovattato, quasi un sussurro ritmico. Sono le palmas che avvolgono, senza invadere. Le sentirai sostenere il compás lento e profondo di una Soleá o nei momenti più delicati del canto.

Dall’altro lato esplodono le palmas claras o sonoras. Qui le mani restano più rigide, producendo un suono nitido e acuto, come una frustata. Sono pura energia. Sostengono il ritmo festoso delle Bulerías o delle Alegrías e sottolineano i momenti più intensi della danza.

Ma queste palmas sono molto più di un metronomo. Sono uno strumento di comunicazione tra gli artisti, un dialogo musicale che intensifica l’emozione e guida l’improvvisazione.

José, la teoria ci dà la mappa, ma sei tu a tracciare il percorso dal vivo. Come decidi quale suono usare? È una scelta puramente tecnica che dipende dal palo, o piuttosto una risposta viscerale all’energia che la bailaora ti trasmette in quel preciso istante?

“Dipende dal momento, dalla situazione, dal palo, dalla bailaora, dal cantaor che sta cantando e che in quel momento devo accompagnare, dalla chitarra…”

La sua scelta non è solitaria; è una risposta costante agli stimoli. Menziona se il chitarrista è in una falseta, se bisogna usare una palma aperta o sorda, chiarendo che non esiste una regola fissa. “Dipende da tante situazioni”, riassume.

Ma la maestria va oltre la scelta tra sorda e aperta. Consiste nel mescolarle, giocare con il colore per creare texture inaspettate.

“Si può anche giocare con colori diversi, cioè da sorda ad aperta. Anche se la bailaora sta facendo un tacón e bisogna fare la palma sorda, si può comunque giocare — sapendo come — inserendo ogni tanto una palma aperta per cambiare leggermente il colore, anche se la base in quel momento resta la palma sorda.”

È qui che il palmero diventa un pittore, aggiungendo pennellate di luce su una tela scura, dimostrando che la sua arte non consiste nel seguire le regole, ma nel sapere quando e come romperle con intenzione.

Il Controtempo: Il Vortice nelle Palmas

Il palmeo non consiste solo nel seguire – è anche una sfida. Il controtempo è una delle tecniche più avanzate ed emozionanti, un salto nel vuoto che richiede fiducia assoluta.

Cosa devi sentire dai tuoi compagni per osare rompere la struttura e giocare con quei silenzi? Cosa aggiunge quel vortice allo spettacolo?

“Quello che devo sentire dai miei compagni, prima di tutto, è che abbiano una buona base e che siamo ben ancorati per poter fare il controtempo.”

“Ci sono stati momenti in cui non ho avuto una buona base e i battiti delle mani non servono a nulla. Mi limito a battere le mani debolmente, come dico io, e non riesco ad esaltare il bailaor, la bailaora o l’artista sul palco, perché semplicemente non si può.”

Il controtempo, quindi, non è solo un ornamento ritmico, ma il segno di un gruppo flamenco che funziona alla perfezione, una prova di connessione tra gli artisti. Solo quando José sente quella sicurezza può esprimere tutto il suo arte.

“Ho bisogno di una base fondamentale e di un ritmo ben saldo, e da lì posso dare tutto ciò che ho e tutto ciò che sono.”

Il Jaleo: La Parola come Palmeo

L’arsenale di un palmero del tuo livello non si limita alle mani. Il jaleo – quei “¡Olé!”, “¡Vamos allá!”, “¡Agua!” – è anche percussione, un’altra forma di palmeo vocale.

Un jaleo fuori tempo può interrompere l’ispirazione, ma uno ben piazzato può portare un artista alla gloria. Qual è per te il segreto di un buon jaleo? È più importante ciò che si dice o il momento preciso in cui viene lanciato, come se fosse un battito in più?

“Per me, il jaleo è uno stato di euforia che emerge quando un ballerino, un cantante, un chitarrista, un percussionista o un artista sul palco tira fuori qualcosa da te. Ti fa venire voglia di lanciargli un complimento.”

“Non è tanto ciò che dici, la parola. Cioè, ‘olé’ non significa che la parola sia bella. Io spesso lo faccio con un suono, e dico ‘¡ah!’ o ‘¡agua!’, o qualcosa del genere. Non significa ‘olé’ perché sia una parola bella.”

Il jaleo è un impulso viscerale, un suono che sgorga senza filtro. È la prova che l’arte dell’altro ha toccato qualcosa di profondo in te. Come lui stesso dice: “qualcosa che ti muove, che ti ha chiamato da dentro, non so cosa, che ti ispira a muoverti in quel modo, a provare quella sensazione.”

Non è una decisione. È una conseguenza.

Cuadro Flamenco de 1911 haciendo compás con las palmas en una falseta

Il “Bailaor Seduto”: La Fusione tra Palmas e Zapateado

Questo ci porta a uno dei complimenti più profondi del flamenco. Si dice di te che sei un “bailaor sentao”. Sappiamo che non è solo per la tua maestria con le palmas flamencas, ma anche perché batti i piedi dalla sedia.

José, avere la capacità di cantare, battere le palmas e fare zapateado allo stesso tempo è un’impresa. È qualcosa che hai allenato consapevolmente o è una saggezza che il corpo flamenco acquisisce dopo migliaia di notti nel tablao?

“Non direi che sia qualcosa che si allena. Anche se è relativo, perché si potrebbe considerare un tipo di allenamento, dato che sono cresciuto in una casa piena di flamencos. I miei genitori, tutti artisti, i miei zii… Sono cresciuto lì, addormentandomi con il canto dal vivo.”

Questa abilità non è nata in una classe, ma nel cuore di una casa flamenca, in un tablao familiare. Non è stata una decisione, ma uno sviluppo naturale. Lo zapateado dalla sedia, quindi, non è una tecnica aggiunta, ma un’estensione della sua passione per la danza.

“Mi piace davvero ballare. E dato che adoro ballare e giocare con il ritmo e il compás, credo di averlo imparato per forza di cose, no?”

La dissociazione corporea non è un esercizio mentale, ma il risultato di una vita immersa nel ritmo. Non è qualcosa che ha praticato isolatamente. “Non è che mi sono messo ad allenarmi da solo a casa dicendo ‘questo colpo, poi questo, poi il piede’ – no. Viene da sé. Non so come spiegare, credo sia innato.”

Quella saggezza, come dice lui, “viene con forza”, nasce da dentro, da un corpo che ha imparato a sentire e ad esprimere il ritmo in ogni modo possibile, anche dalla sedia.

Il Dialogo con la Chitarra

Il palmeo non esiste nel vuoto – è un dialogo costante. La chitarra propone falsetas, momenti di calma o virtuosismo che il palmero deve sapere come sostenere.

Com’è questo dialogo con il chitarrista? Quando inizia con una falseta, ti ritiri per lasciargli spazio oppure trasformi le tue palmas per creare una base ritmica su cui possa volare in sicurezza?

“Quando il chitarrista inizia una falseta, bisogna dargli una buona base e accompagnarlo con un buon soniquete, come diciamo noi.”

L’obiettivo è creare un cuscino ritmico, un terreno solido su cui il chitarrista possa sviluppare la sua melodia liberamente. Ma questo supporto non è passivo. Il palmero è sempre attento, pronto a intervenire con più forza nel momento giusto e unirsi al climax.

“Puoi attaccare alla fine della falseta. E se vedi che sta arrivando, attacchi nel miglior modo possibile, giocando anche con i contratempi – e lui gioca con te.”

È un gioco di complicità. Il palmero sostiene, e proprio alla fine, nel culmine, lui e il chitarrista completano insieme il disegno musicale in un’esplosione condivisa. “Ed è lì che nasce anche l’olé, capisci?”

Cuadro haciendo compás en Tablao Flamenco 1911

La Saggezza del Palmero: Si Insegna o si Apprende?

Questo livello di conoscenza nell’arte del palmeo sembra un linguaggio segreto, una conoscenza che si tramanda da maestro ad allievo nell’intimità del tablao.

Questa conoscenza così profonda che hai come palmero, è qualcosa che si può insegnare in una lezione, con una lavagna, o è una saggezza che si trasmette solo notte dopo notte, respirando la stessa aria dei compagni sul palcoscenico?

«Beh, insegnare, insegnare, certo che si può insegnare la tecnica, credo di sì. La tecnica sì, e i doppi che si fanno, i contratempi, certo che sì.»

Tuttavia, la vera sfida, ciò che lui considera difficile da trasmettere in un’aula, è l’essenza stessa del ritmo flamenco.

«Ciò che vedo molto difficile da poter insegnare è il compás. Il compás io credo che sia innato. Si può esercitare col tempo e avere un compás migliore, ma certo, sarà sempre un compás appreso.»

Qui risiede la differenza cruciale: un compás “appreso” contro uno “innato”. Non è la stessa cosa eseguirlo che portarlo dentro. «Non è come colui che lo porta da casa, innato», afferma. José riconosce che questo dono naturale può essere buono o cattivo d’origine, ma è il punto di partenza che definisce tutto.

Chi lo porta di serie, «ogni volta va prosperando di più e prende forma il suo compás e lo porta a livelli enormi». Invece, per chi parte da una base più debole, il progresso ha un tetto. «Chi lo ha molto basso, beh, ci restiamo lì sempre. Si resta su un livello basso, che sì, va bene, ma non va.»

In definitiva, la tecnica si insegna, ma il compás, questo battito profondo, si porta nell’anima.

La Necessità del Silenzio

Infine, perché un palmeo così sottile e pieno di sfumature sia apprezzato, serve un ecosistema adeguato, anche nei palos come i Tangos o i Fandangos che chiedono festa.

Affinché tutto questo linguaggio di palmas flamencas, zapateados e sguardi funzioni, quanto è importante uno spazio come questo, un tablao intimo dove si possa sentire persino il respiro del compagno e dove il pubblico viene ad ascoltare, non solo a guardare?

«Ciò che esce al musicista, all’artista, è irripetibile in quel momento.»

Questa è la magia che non si può pianificare. José lo contrappone alla rigidità delle grandi produzioni, dove la spontaneità si sacrifica.

«Ci sono giorni molto buoni in cui escono cose che non le fai neanche al Teatro Real dopo tre mesi di prove con le stesse persone.»

Il tablao è il terreno fertile dell’imprevedibile. È un luogo che evoca il duende. «In un tablao escono quelle cose, o meglio, ha quella magia che lo rende irripetibile.» E quella magia, dice, si moltiplica quando l’ambiente e i compagni sono all’altezza.

«E la verità è che in un tablao, parlando come il 1911, con così tanti buoni artisti che sono di primo livello, allora è più facile che escano cose irripetibili. Come ne escono ogni giorno.»

Il tablao, quindi, non è solo un palcoscenico, ma un ingrediente attivo, un catalizzatore che, combinato con artisti di primo livello, garantisce che lo straordinario non sia un’eccezione, ma un’abitudine.

Dopo una chiacchierata così, uno non ascolta più le palmas allo stesso modo. Comprende che il palmeo non è solo un ritmo, è un racconto; che non sono solo un applauso, sono un dialogo; e che per ballare, a volte, la saggezza più grande risiede nel rimanere seduti.

Vieni ad ascoltare il dialogo. Prenota la tua notte nel cuore del flamenco.

 

 

 

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